Aspettando “Da Valdellatorre al Musinè”
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Aspettando “Da Valdellatorre al Musinè”

Si è mai visto un resoconto prima dell’uscita? Un resoconto al contrario che inizia non alla fine ma ancor prima dell’inizio dell’escursione? No, forse, no. Ma cosa importa. L’ordine degli addendi se cambiato non dovrebbe alterare il risultato, recita un adagio matematico famoso. Forse per un’escursione non è la medesima cosa. Eppure vale la pena prendere carta e penna per dare voce anche a questa porzione invisibile di un’uscita, prima di infilare scarponi e zaino per la grande occasione Barbassa.
Posiamo, allora, un delicato, silenzioso e curioso sguardo indagatore su alcuni di quei passaggi che, spesso in solitario, ti portano al giorno della partenza.

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Il lavoro di backstage condotto individualmente è stato ricco di riflessioni e scoperte. La preparazione è fondamentale come base per un’adeguata riuscita e per dare forma e corpo a un programma che saranno partecipanti ed evento a comporre definitivamente. Dopo il lavoro “pre” sarà necessario dare spazio al resto, senza affezioni particolari e troppe resistenze, accentando il corso delle cose, e senza perdere di vista il governo del percorso, ovviamente.
Ripensare a quando inizia effettivamente un viaggio, ripercorre la sua genesi è un po’ come andare nel punto in cui sorge un arcobaleno; da lontano lo vedi, lo sai ma poi nell’andare, se qualcuno ha mai provato, la meta si perde, sfugge.
Tutto, insomma, inizia ben prima, da qualche parte: nella tua mente, in una precedente uscita, in un racconto che ci ha colpiti, scrutando una cartina, cercando qualcosa di inedito, molto spesso, comunque nell’intento di condividere un luogo a cui si è, per un motivo o per l’altro, particolarmente affezionati.
Anche questa volta siamo in una di queste ipotesi. Immersa nella luce feriale di un giorno qualunque della settimana, quasi scettica, con uno zainetto pieno del poco necessario, ho mosso i primi passi vero la realizzazione di questa proposta.

Così, come non mi capita spesso, ho indossato la divisa da camminatrice e sono partita, ignara che quel giorno lì fuori avrei trovato un mondo diverso dal solito.
Un progetto di cammino è come una narrazione in cui si hanno chiari da principio alcuni elementi ma poi non sai bene come si svilupperà. Allo stesso modo che nello scrivere, nell’atto che la penna scorre sul foglio, nel mentre le dita toccano i tasti, molti altri aspetti si aggiungeranno. E’ un embrione che si sviluppa lentamente, passaggio dopo passaggio sotto i tuoi occhi ma senza la consapevolezza di ciò che si sta componendo. Anche quando il viaggio non è distante o lungo possiede un’intrinseca bellezza propria della sua stessa natura.
Con questa meta sulle spalle il mondo circostante assume altre sembianze, o forse ti guardi attorno con altri occhi scorgendo ciò che di solito non vedi.
Così almeno mi è capitato. E’ stato come se uscendo fossi inciampata sullo zerbino di casa e avessi dischiuso da lì sotto un'altra realtà. Meditando anche su queste riflessioni, che hanno avuto anch’esse una propria gestazione, mi sono venute in mente le Città Invisibili di Italo Calvino. Accanto a quella che vediamo tutti i giorni ho scorto una città diversa. Non so se l’ha creata la mia fantasia, il mio sguardo diverso dal solito. Fatto sta che lei c’era ed era proprio lì davanti a me, con le sue strade, i suoi edifici e i suoi abitanti.
Se decidi o provi a raggiungere la tua meta e tornare utilizzando i mezzi pubblici, ti rendi conto che tra città e mezza montagna puoi tracciare un anello di congiunzione, un continuum fatto di mezzi diversi ma tutti a portata dell’uomo, dell’uomo qualunque e di chiunque. Ti senti come un pesce che risale la corrente. Non incontri la fatica ma una naturale possibilità di andare verso un tuo destino. Vestita da montagna mi sono sentita un po’ insolita in mezzo a tutti quegli altri pesci che andavano per lo più nella direzione opposta alla mia, dalla periferia verso il centro. Ma non in termini di valore, piuttosto in termini di possibilità. E una delle possibilità è stata quella di vedere il bus, la metro e l’autobus extraurbano e i miei piedi come mezzi di congiunzione. Ciò che raggiungi con le tue forze, con quegli ausili che puoi azionare con le tue energie assumono una connotazione particolare: sono alla tua portata, ti permettono di sentirti artefice effettivo del viaggio e delle circostanze; sai che puoi farlo da te, non ti occorro forze ed energie esterne non umane, non ci sono distanze “sovraumane”. Così diventi parte del territorio, ci sei dentro, senti di poterlo vivere e percorre a un ritmo che ti consente di osservarlo e scorgerlo con maggior calma.
I mezzi pubblici, pur essendo meccanici, hanno una fisiologia peculiare: sono tracciati fissi e ordinari, vie di percorrenza a disposizione di ciascuno, dei canali di transito. Come dei fiumi di spostamento, soprattutto se tengono in conto l’idea di ridurre l’impatto umano e artificiale sul territorio.
Del resto se ricordiamo qualche passo del libro Sistema Periodico, Primo Levi ci racconta come andava in montagna in bici a sciare; dopo aver legato gli sci al telaio della due ruote, la meta raggiunta aveva tutto un sapore di conquista e la discesa, immerso nella natura, un aroma unico e intenso.
Da questa visuale insolita la città invisibile, percorribile in autonomia e agio, ha rilevato le sue sembianze, si è manifestata con la sua identità e in tutta la sua bellezza. Ne ho percorso le vie a piedi e in bus. Ho incontrato i suoi abitanti: per esempio, i compagni di viaggio sui mezzi pubblici; il piccolo e abitudinario mondo dei pendolari extraurbano che da qui torna, ogni giorno, nelle proprie valli come la signora Domenica che mi ha dispensato tante utili informazioni. Mi ha colpito la sua familiarità con i luoghi, gli orai della corriera, i punti di partenza e arrivo, la storia e la gente che ogni giorno con lei utilizza questo servizio diventando piccola e solida comunità, che si conosce e sostiene e di cui ho fatto parte per un breve tratto. Quando è scesa ho sentito una sorta di lieve tristezza come quando da ragazzina terminavano le gite della scuola. Invece la mia gita era solo agli esordi e tutto un universo non più invisibile mi stava attendendo li intorno.
Lo zaino era già ricolmo di esperienze, sensazioni e voglia di addentrarmi ancora di più in questa città invisibile che via via, al pari di una sequenza di metamorfosi di Escher, da metropoli si è trasformata in piccolo borgo e poi ha preso le vesti di un sentiero, che ho percorso con insolita allegria e curiosità, e viceversa.
Così è accaduto anche nelle riprove, nell’uscita per rimettere tutto in ordine e definire. Allora, mi sono detta, questa “altra” città, dove le distanze diventano qualcosa che anche con i tuoi piedi puoi gestire e avvicinare, esiste davvero. Piedolaria, così possiamo banalmente nominarla la nostra città invisibile, non è frutto di una suggestione ma una realtà che mi aspetta se esco di casa a cercarla!

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